Oliver Lavasseur

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    Olivier Levasseur detto L'Avvoltoio



    Olivier Levasseur, soprannominato La Buse o Bouche (L'Avvoltoio), questo soprannome a causa della sua velocità e il silenzio che aveva nell'uccidere. In un primo momento divenne un ufficiale di marina, dopo aver ricevuto una formazione militare. Dopo che la guerra della Spagna finì (1701-1714) gli fu ordinato di tornare a casa con la sua nave, ma invece lui si unì a Benjamin Hornigold in una organizzazione pirata nel 1716. Levasseur si dimostrò come un buon leader sulla nave, anche se aveva una cicatrice su un occhio che limitava la sua visione.
    Nel 1720, uno dei suoi occhi era diventato completamente cieco, così ha iniziato ad indossare una benda sull'occhio; accuse che sorgono in futuro dicono che ogni pirata come lui portava un cerotto ad un'occhio.
    Ha rapinato delle navi portoghesi piene di elementi preziosi. Quando il bottino è stato diviso, ogni pirata ha ricevuto almeno £ 50.000 ghinee d'oro (oggi £ 7.500.000), e ognuno ha avuto 42 diamanti. Levasseur poi divise l'oro rimanente, argento e altri oggetti, mentre lui si prese una croce d'oro.


    Discussione aperta per opinioni, riflessioni e quant'altro.

    Edited by /sheenaramone - 7/6/2012, 18:05
     
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  2. Miss Shanks
     
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    Il tesoro di La Buse



    Isole Seychelles: solo purezza della natura e meraviglie ecologiche? Assolutamente no! Secondo la migliore tradizione, anche storie di pirati, battaglie e tesori nascosti. E quali tesori…

    Olivier Levasseur, soprannominato “La Buse” o “Buzzard ( l’avvoltoio)” per la velocità e la spietatezza con cui attaccava i suoi nemici, era un autentico pirata. Ma cos’era ancora più autentico di lui? Il suo immenso tesoro nascosto, la cui caccia iniziò intorno a metà del 1900 e continua ancora oggi. Nato in Francia alla fine del 1600, era stato corsaro della corona. Quando fu congedato, nel 1716, anziché tornare in patria con la propria nave Victory, si iscrisse alla società dei pirati, dimostrando non solo un’attitudine innata, ma abili doti, al pari di altri famosi pirati come Howell Davis, Thomas Cocklyn e John Taylor (Il Terrore delle Indie), insieme ai quali La Buse fece scorribande in tutti i mari, saccheggiando i Caraibi, le Laccadive, la costa africana in Benin e poi l’Isola Sainte Marie, vicino al Madagascar. E fu proprio quando depredavano l’Oceano Indiano che La Buse e la sua ciurma misero a segno uno dei più grandi colpi di tutta la pirateria: la cattura, appena fuori dell’Isola di Bourbon (oggi Reunion), de La Vergine del Capo, il galeone del Vicerè del Portogallo, che rientrava a Lisbona col tesoro del Vescovo di Goa. Il vascello, danneggiato dalla tempesta, aveva scaricato i suoi 72 cannoni, gettando l’ancora al largo di Reunion così i pirati poterono facilmente salire a bordo senza sparare, scoprendo il suo carico davvero impressionante: perle, monete e vasellame d’oro e una croce d’oro massiccio, alta più di 2 metri con incastonati diamanti, smeraldi e rubini, conosciuta come La Croce Infuocata di Goa. Un bottino talmente grande (secondo qualcuno 100 milioni di sterline nel’68, circa 4,5 miliardi di odierni euro) che non si curarono neppure di derubare le persone a bordo fra cui il Vicerè e lo stesso Vescovo. Spartito il bottino molti si ritirarono ma La Buse (che aveva tenuto, fra il resto, la Croce Infuocata), rimessa a nuovo la Vergine del Capo, la fece diventare la sua nuova nave, ribattezzandola “Victory” (come la sua vecchia, che aveva affondato), continuando a fare il pirata e temporeggiando sull’offerta di amnistia del governatore di Reunion che gli chiedeva in cambio, proprio il suo cospicuo tesoro. Nascostosi alle Seychelles, a Sainte Marie, fu poi catturato ed impiccato il 7 luglio 1730. Ma era riuscito a nascondere il tesoro. Dove? Si ipotizzano ben 6 isole: Mahè, Fregate, La Reunion, Sainte Marie, Rodriguez e Mauritius. Quando si trovava sul patibolo lanciò alla folla un crittogramma di 17 lettere gridando beffardamente “ Il mio tesoro a chi riuscirà a comprendere” sfidando a trovarlo. Una mappa e un crittogramma (o più crittogrammi), passati di mano in mano senza che nessuno sia mai riuscito a trovare il leggendario tesoro, poichè indecifrabili. Il più caparbio ricercatore fu Reginald Cruise Wilkins che, trasferitosi alle Seychelles per motivi di salute, per 28 anni cercò il tesoro di La Buse, che secondo lui si trovava nelle vicinanze di Bel Ombre a Mahè, fino al 1977, quando morì. La caccia passò al figlio John che non ha mai perso le speranze di coronare il sogno del padre e continua ancora oggi. Prima di loro, già Rose Savy, vicina di casa dei Wilkins, dopo un’eccezionale bassa marea aveva trovato incisioni sulle rocce della spiaggia di Bel Ombre che, dall’archivio di un notaio, portarono ad una vecchia mappa della spiaggia dove il proprietario era La Buse e a lettere e crittogrammi lasciati dal pirata Nageon Berardin de l’Estang, detto "Le Butin", morto 70 anni dopo con indicazioni simili a quelle di La Buse. In base ad essi si scavò quindi a Bel Ombre, trovando solo 2 bare con resti di pirati ed un corpo senza bara, ma non il tesoro. E dov’è sepolto realmente La Buse, ultimo pirata dell’Oceano Indiano a essere arrestato? Nella bella St-Paul, l’ex capitale di Réunion, dove venne portato ed impiccato, al Cimetière Martin, la tomba più famosa è quella del pirata Olivier Levasseur, sulla quale sono raffigurati un teschio e due ossa incrociate, simbolo dei corsari: ma il cimitero è stato costruito solo nel 1788, 58 anni dopo la sua morte…

    Una vicenda davvero misteriosa, in cui è difficile capire fin dove arriva la realtà e comincia la fantasia talmente sottile a volte è la linea di confine fra le due... Più di un avventuriero si è giocato tutto ossessionato dalla ricerca di questo tesoro: il caso più eclatante è Bibique, morto suicida nel 1995 dopo 30 anni passati a scavare, ma ce ne sono stati altri. Senza contare, con i cambiamenti di questi anni, che per trovare il tesoro, oggi, più che su una vecchia mappa, c’è da fare affidamento sulla fortuna. Ma il sogno rimane, ed anche il mistero che l’avvolge e, se decidete di andare Seychelles, oltre a godervi quel paradiso incontaminato, potreste sempre raccogliere la sfida di La Buse e provare a trovare il suo tesoro (se ci riuscite…)

     
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  3. Miss Shanks
     
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    PAROLE DI OLIVER LEVASSEUR



    Dicono che sia nato intorno al 1680, ma la data della mia nascita è incerta (c’è chi giura che io sia nato 10 anni dopo, nel 1690).

    Mi chiamo Olivier Le Vasseur ed è curioso che parli di me e della mia vita avventurosa alla vigilia della mia morte, domani verrà eseguita la sentenza che mi condanna alla forca.

    Di sicuro la città che mi ha dato i natali è Calais, ultimo lembo di Francia affacciato sulla Manica, di fronte alle coste britanniche, quasi come un presagio per me, che del mare ho fatto la mia ragione di vita.

    Avrei potuto evitarlo, del resto, dato che provenivo da una famiglia borghese, agiata, in grado di darmi una solida istruzione, che ha fatto nascere in me interessi culturali non molto diffusi a quel tempo, fra cui un amore sconfinato per l’astronomia, la cultura classica e in particolare per la mitologia greca.

    Fu una sciabolata in faccia, unita al nasone adunco che madre natura mi aveva regalato, a farmi guadagnare il soprannome di “La Buse”, “la Poiana”, poi consolidatosi quando divenne il sinonimo della rapidità fulminea con cui mi gettavo sulle navi da conquistare.

    La mia “carriera” inizia invece lontano dagli agi borghesi, ma come corsaro, al soldo del “re sole”, Luigi XIV, per conto del quale mi occupai per qualche anno di difendere gli interessi francesi nelle acque caraibiche.

    Fu il Trattato di Utrecht nel 1713 a rendere inutili i servigi di noi corsari, in quanto tale accordo sancì il riavvicinamento tra Gran Bretagna, Olanda e Francia, che unite, affidarono il compito di cacciare i pirati direttamente ai soldati dei loro eserciti.

    Di tornare tra le fredde brume del nord della Francia non ne volevo sapere e fu quindi per me una scelta obbligata quella di disubbidire all’Ammiraglio francese, che mi aveva ordinato di cedere il comando e restituire il mio vascello.

    Presi la Indian Queen e senza esitazione mi diressi verso oriente: lungo la strada, mi alleai con due miei precedenti nemici, il Luogotenente John Taylor, disertore della Marina Britannica e Edward England, un mercante irlandese.

    Dovevo allontanarmi dai Caraibi, ormai troppo pericolosi per gente come me che non conosceva altro mestiere che quello del corsaro o del pirata: scelsi l’Oceano Indiano, solcato da numerose navi che trasportavano ricche mercanzie sulle rotte dei monsoni, che nessuno controllava.

    Non persi l’occasione di compiere qualche incursione anche lungo la strada, lasciando il segno a Ouidah, nel Golfo del Benin, lungo la tristemente nota Costa degli Schiavi: qui nella primavera del 1720 riuscii a distruggere la fortezza, non prima di aver depredato l’intero suo tesoro.

    Dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza, la fortuna sembrò abbandonarmi quando la Indian Queen si arenò in una delle insidiose secche delle Isole Comore, per la precisione nell’isola Anjouan: qui fui bloccato per tre mesi, cosa che temevo più di ogni altra, perché rendeva la nostra nave estremamente vulnerabile: del resto, dovevamo riparare la nave e il legno delle Comore è molto resistente e adatto allo scopo.

    Feci quindi costruire dall’equipaggio una specie di fortino, per difenderci da eventuali attacchi sia dal mare che dall’interno dell’isola, armandolo con i cannoni della Indian Queen.

    La scelta si rivelò lungimirante quando due mercantili per il commercio con le Indie orientali, la Cassandra, guidata dal Comandante James Mc Rae, scortata dalla Enterprise, entrò nella Baia di Mutsamudu con i cannoni spianati, con intenzioni tutt’altro che amichevoli nei nostri confronti, forse ansioso di intascare una delle tante taglie che pendevano su noi pirati.

    Ma non aveva fatto i conti con il mio vecchio amico Edward England, che con i suoi due brigantini Fancy e Victory sorprese alle spalle gli assalitori, che si trovarono chiusi in un fuoco incrociato da mare e da terra.

    Il comandante della Enterprise, tutt’altro che coraggioso, riuscì a trovare un varco e fuggì in una indecorosa ritirata, lasciando Mc Rae e la sua Cassandra desolatamente soli. Mc Rae fu costretto ad arrendersi e England, il quale, fra lo sconcerto dei sui uomini, riuscì a convincere il Luogotenente Taylor e mio malgrado, anche il sottoscritto, a concedere generosamente all’equipaggio sconfitto la libertà incondizionata, offendo in cambio della Cassandra e del suo carico la Fancy, che permise a Mc Rae di raggiungere Bombay, in India, dove in seguito diventò governatore di Madras.

    England, Taylor ed io, nel frattempo non perdemmo l’occasione per compiere numerosi saccheggi alle Isole Laccadive, per poi raggiungere Cochin, in India, dove riuscimmo a vendere a una ditta commerciale olandese per 75.000 Sterline il carico della Cassandra.

    Facemmo quindi rotta per le Isole Mascarene, ma nel febbraio del 1721 venimmo a sapere che il Comandante Mc Rae era sulle mostre tracce: fu l’episodio che mandò su tutte le furie gli uomini di Edward England, che non gli avevano mai perdonato la sua immotivata generosità verso l’ex Comandante della Cassandra, anch’egli irlandese.

    Come si usava fra i filibustieri, pertanto, England venne abbandonato per punizione dai suoi uomini su un’isola deserta, con un barile d’acqua, una pistola e una bottiglia di polvere da sparo: ma Edward non si diede per vinto e riuscì a costruirsi una zattera, con la quale, trasportato dalle correnti, raggiunse la fortezza dei pirati del Madagascar, dove corre voce che morì alcuni anni dopo, senza più un soldo, come un poveraccio.

    Nel frattempo, la Cassandra, comandata da me e la Victory, agli ordini di Taylor fecero rotta sull’Isola di Réunion. Qui, il 26 aprile 1721 mettemmo a segno il colpo più importante della nostra vita e uno dei più sensazionali della storia della pirateria.

    Nel porto di Saint Denis, capoluogo di Réunion, era all’ancora, in avaria la Virgem do Cabo, di 800 tonnellate, con 70 pezzi di cannone, ammiraglia della flotta portoghese proveniente da Goa, in India e diretta a Lisbona: la nave trasportava una fortuna, secondo le cronache del tempo era una sorta di “casa del tesoro galleggiante” e trasportava lingotti d’oro e d’argento, forzieri di ghinee d’oro, perle, barili di diamanti, sete, oggetti d’arte, un pastorale e una croce ed altri ornamenti sacri dell’Arcivescovo di Goa, per un valore stimato in cento milioni di Sterline.

    La nave, sorpresa da una furiosa tempesta, era stata gravemente danneggiata e l’equipaggio, sia pur riluttante, per evitare che colasse a picco, era stato costretto ad alleggerirla, gettando in mare tutti i cannoni.

    Avvicinandomi al porto, vedo da lontano la grande nave ferma in banchina: la osservo attentamente con il mio cannocchiale e mi accorgo che le feritoie dei cannoni sono vuote e che l’equipaggio non è a bordo.

    Facendo onore al mio soprannome di Poiana, l’arrembaggio da parte degli equipaggi della Cassandra e della Victory è fulmineo e in men che non si dica, quasi senza colpo ferire conquistiamo la Virgem do Cabo.

    Decidiamo di liberare quasi subito gli ostaggi, anche perché il valore del bottino è immensamente più grande di qualsiasi riscatto avremmo potuto chiedere: la presenza fra i prigionieri dell’Arcivescovo di Goa e del Vicerè lusitano, il Conte di Ericeira, del resto, era piuttosto scomoda e avrebbe potuto essere d’impaccio alla nostra fuga.

    A noi interessava il contenuto della nave, fra cui il diamante, il rubino e lo smeraldo incastonati nella Fiammeggiante Croce di Goa (ci vollero tre uomini per trasportarla), che l’Arcivescovo ci scongiurò invano di restituire.

    Altrettanto rapida fu la nostra dipartita, uscimmo dal porto di Saint Denis con le tre navi (la Cassandra, la Victory e la Virgem do Cabo) sparando numerose salve di cannone, per salutare ironicamente il Governatore della Réunion, depredato a sua volta.

    Lungo la strada, ad occidente della Réunion, depredammo anche un vascello olandese, la Ville D’Ostende, catturato con facilità, dirigendoci poi verso l’Isola di Sainte Marie, sulla costa nord orientale del Madagascar, da tempo rifugio di noi pirati che terrorizzavano il Mar delle Indie.

    Spartimmo il bottino e a nessuno dei marinai spettò meno di 5.000 ghinee d’oro, per la precisione quarantadue diamanti ciascuno.

    La mia parte comprendeva diversi lingotti, oltre a vari oggetti sacri, fra i quali naturalmente la Croce Fiammeggiante.

    Nonostante le ricchezze incamerate, non era affatto mia intenzione smettere e cambiare mestiere, del resto che altro avrei potuto fare nella vita?

    Affondammo la Victory e nominammo nostra ammiraglia la Virgem do Cabo, che ribattezzammo come la nave di cui ci eravamo appena sbarazzati: costeggiando la costa orientale del Madagascar, saccheggiammo anche la Duchesse del Noailles, dei miei compatrioti della Compagnia francese.

    Fu allora che alcuni amici ci avvertirono che alcuni cacciatori di pirati erano sulle nostre tracce e decidemmo pertanto di proseguire verso l’estremo sud del Madagascar, doppiando Fort Dauphin e virando verso occidente, per approdare lungo le coste orientali del Mozambico. Qui, nell’aprile del 1722 entrammo nella baia di Lourenço Marques (l’odierna Maputo n.d.r.), dove riuscimmo a sconfiggere la guarnigione olandese a Fort Lagos.

    Nel frattempo, Taylor ed io, ormai sazi di conquiste, eravamo spesso in disaccordo: onde evitare di scontrarci, dopo tanti anni di lotte fianco a fianco, decidemmo di dividerci per sempre e dopo aver definitivamente spartito le nostre ricchezze ci salutammo per sempre. Taylor tornò a Sainte Marie per armare la Cassandra e per dirigersi ad ovest.

    Si arrese qualche tempo dopo nelle Indie Occidentali spagnole e accettò un incarico nella Marina Spagnola: si dice che sia morto qualche anno dopo a Cuba.

    Quanto a me, vissi alcuni mesi a Sainte Marie: da qui, nel 1724 inviai un emissario alla Réunion, puntando ad un’amnistia, ma mettendo subito in chiaro che ero disposto a privarmi di una parte soltanto del tesoro della Virgem do Cabo. Il governo francese, anche per conto dell’Arcivescovo di Goa, non accettò.

    Mi ritirai a mia volta dall’offerta e l’amnistia decadde.

    Correva l’anno 1725, e me ne andai a vivere nell’isola dove seppellii il mio tesoro: solo nel 1728 tornai in Madagascar, nella Baia di Antongila, dove trovai un impiego come pilota.

    Qui venni riconosciuto da un impiegato della Compagnia francese, ma riuscii a dileguarmi.

    Tornai per un breve periodo alla pirateria, ma nei primi mesi di quest’anno (il 1730, n.d.r.) la mia nave venne attaccata dal Capitano L’Ermitte della nave da guerra Meduse: fui catturato vivo e posto sotto la custodia del Governatore della Réunion.

    Il Governatore della Réunion, avido delle mie ricchezze, ha cercato di farmi parlare, promettendomi anche la libertà se avessi rivelato il luogo dove ho nascosto il mio tesoro, ma un vero uomo deve essere più forte di certe lusinghe e non può pentirsi solo per convenienza: ciò che ho fatto, lo rifarei, non rinnego il mio passato, per quanto crudele esso sia stato e sebbene i crimini che ho sulla coscienza a volte non mi facciano prender sonno.

    Domani, dal patibolo getterò ai curiosi i crittogrammi che indicano il luogo,usando alcune metafore, ma senza nominare l’isola in cui si trova.

    Solo il manoscritto che sto concludendo ora riporterà il nome di quell’isola: lo nasconderò nel cunicolo che ho scavato nella mia cella, coprendolo accuratamente con la terra e i sassi.

    Chi troverà i crittogrammi insieme al presente manoscritto, sarà in grado di trovare il tesoro, che si trova nell’Isola...


    Saint Denis, 16 luglio 1730
    Olivier Le Vasseur



    Il 17 luglio, alle 5 post meridiane, La Buse viene giustiziato: salendo sul patibolo, come promesso, gettò ai curiosi, che non aspettavano altro, alcuni crittogrammi, gridando con un atto di sfida “Trovate pure il mio tesoro, se ci riuscite!”
    I crittogrammi sarebbero passati di mano in mano diverse volte, ma nessuno è ancora riuscito a trovare il leggendario tesoro di Le Vasseur, forse sepolto a Sainte Marie, forse a Mauritius, forse nella stessa Réunion o forse a Mahé, nelle isole Seychelles.

    Nel sito in cui ho trovato questa traduzione del manoscritto di Oliver Le Vasseur, c'era scritto, in basso: "Quanto al manoscritto, potrei dirvi che è solo il frutto della mia fantasia, oppure che è rovinato proprio nell’ultimo periodo e che non sono stato in grado di decifrarlo.
    Oppure, se preferite, potete pensare che io stesso non vi rivelerò mai il nome dell’isola dove si trova il tesoro di La Buse da 100 milioni di Sterline: e allora, anche a voi che state leggendo queste righe e che siete ansiosi di sapere dove è sepolto uno dei più ricchi tesori della storia della pirateria, dico: “Trovate pure il tesoro del pirata, se ci riuscite!”"

    - Qui potete trovare la miglior biografia di questo pirata (in lingua francese, con foto, illustrazioni e mappe).
    - Lonely fa un breve riferimento alla vita di Le Vasseur e alla sua tomba, tuttora visitabile alla Réunion.
    - Un libro che parla del tesoro di La Buse e di molti altri tesori di pirati è “Alla scoperta delle Isole del Tesoro” – Edizioni Piemme - di Cameron Platt – John Wright. Io non sono riuscita a trovarlo, ma sarebbe interessante leggerlo!

    Edited by Miss Shanks - 25/8/2012, 17:09
     
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  4. ~Light
     
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    ma che rosicata >< ora vogliamo sapere il nome dell'isola! >____<
    comunque è una storia davvero interessante questa $. $
     
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3 replies since 5/6/2012, 18:49   130 views
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